giovedì 11 agosto 2016

Il supervulcano di 290 milioni di anni fa e il geologo sommelier.


Con il mese di agosto anche Geologia e Cucina si prende una piccola pausa estiva e riapre con piacere le porte alle collaborazioni. Oggi è la volta di Matteo Capellaro, geologo e sommelier, Cavaliere del Tartufo e dei Vini di Alba, che  porta avanti un'Agenzia di consulenze enogastronomiche "Degustazioni e Dintorni". 
Per saperne di più su come nasce la sua passione c'è una breve descrizione della  sua storia nel blog.
Con questo post appassionante ringraziamo Matteo e auguriamo un buon agosto a tutti.

C'era una volta un Supervulcano... Eh no, diventerebbe un trattato geologico fino a sé stesso e sarebbe troppo “facile” introdurre così questo racconto che ha dell'incredibile. E' doveroso scrivere un prologo. 

1. PROLOGO

 C'era una volta un sommelier che viveva nel borgo medievale di Barolo e lavorava in uno dei castelli più scenografici e caratteristici del Piemonte. Castello appartenuto ai Marchesi Falletti, pionieri insieme a Camillo Benso conte di Cavour e ai figli illegittimi di Vittorio Emanuele II ex proprietari della Tenuta di Fontanafredda, di uno tra i vini più conosciuti nel panorama enoico internazionale, Il Barolo. Il nostro sommelier si occupava della promozione appunto di questo vino e incontrava quotidianamente all'interno dell'Enoteca Regionale turisti e appassionati che venivano apposta da tutto il mondo in quel luogo per apprendere e degustarne le eccellenze territoriali. Ne era entusiasta al punto che, alla fine del suo orario di lavoro, amava intrattenersi con alcuni tra i più curiosi, nella vineria del paese oppure accompagnandoli direttamente dai produttori, nelle vigne e condividendo gli assaggi dalle botti. 

Godeva e si rallegrava nel vedere la meraviglia dipingersi su quei volti, amava sfoderare la sua arma segreta spiegando come i terreni avevano saputo influenzare quei vini, gli esami di Geologia del Sedimentario, quel professor Ghibaudo un po' burbero e un po' no che amava il vino, ora i suoi insegnamenti avevano un altro fascino, si potevano toccare con mano le marne grigio azzure di Sant'Agata fossili, i turisti se le passavano di mano, si divertivano a romperle e finalmente capivano anche loro la magia. La struttura e i profumi dei vini derivavano proprio da come le radici delle piante riuscivano a cavare nutrimento e linfa vitale da quegli strati solo in apparenza privi di risorse. Ma al nostro sommelier non bastava, considerando anche il fatto che tra gli 800 abitanti del Comune di Barolo era anche l'unico della sua specie: sommelier ma con il bagaglio degli studi geologici che non avevano avuto uno sfogo professionale ed erano rimasti, negli anni in cui si era dedicato ad altre attività, lì, fermi, come una zavorra inutile; ad un certo punto sembravano prendere forma nella comunicazione del vino e spiazzavano gli interlocutori che si sentivano quindi anch'essi un po' scienziati e iniziavano anche loro a supporre e a indovinare cosa poteva essere successo in quelle zone, iniziavano anche loro a “vedere” l'oceano della Tetide dall'andamento ondulato uniforme delle Langhe a quello più irregolare del Roero e il Tanaro con le sue dimensioni mastodontiche tra Cherasco e Santa Vittoria d'Alba, ben diverse da quelle attuali. 

1.2 IL VIAGGIO 

Doveva inventarsi qualcos'altro, pensava che al di là di quelle colline, da qualche parte ci sarebbe stato qualcosa di diverso che terreni sabbiosi o calcareo argillosi, chissà che caratteristiche avevano i vini le cui uve erano coltivate in montagna, oppure sul tufo vulcanico dell'Etna e quindi iniziò a viaggiare e scoprendo quali sentori davano ai vini i diversi terreni in giro per l'Italia ma non solo. Capì come lo stesso vitigno, come il Sauvignon, il Pinot Nero o lo Chardonnay, poteva alterare le sue sensazioni dal terreno ma anche dal modo in cui era coltivato. Dal Collio all'Alto Adige, dalla Valtellina alla Romagna, dall'Etna alla Nuova Zelanda, quali evoluzioni fantastiche prendevano vita in quei calici, tanto da non ritrovare il bandolo della matassa o riconoscere lo stesso vitigno in contesti diversi. Mentre rifletteva su tutti questi aspetti durante il viaggio di ritorno, proprio a pochi km da Barolo, in una località vicina a Castiglione Falletto, il suo sguardo indugiò su un cartello stradale in cui si parlava del Geoparco UNESCO del Monte Rosa. Lo conosceva bene quel monte, ricordava una cartolina del padre alpinista con su la Capanna Margherita e una frase scritta a penna rossa “Era un mito” ovviamente riferito alla conquista di quella vetta tanto ambita. Sotto la pubblicità del Geoparco si vedeva distintamente una testa di lupo, il simbolo di un'azienda di Ghemme, Antichi Vigneti di Cantalupo. GENIALE!!!! Un produttore di Ghemme era riuscito a far conoscere questa piccola perla del Piemonte Settentrionale, lì nel tempio del campanilismo piemontese, nel cuore degli undici comuni “intoccabili” del Barolo promuovendo il suo territorio che era inserito all'interno di un parco riconosciuto dall'Unesco, ma cos'era il Ghemme? Ghemme e Gattinara sì, se ne poteva parlare nel Castello di Barolo, quando si spiegava che con il Nebbiolo si facevano anche altri vini, si doveva dire che erano ottimi senza però far vacillare la luce al Barolo. Ma forse pensò era perché non si conoscevano così bene e la luce stessa del Barolo, del Barbaresco e dei vini di Langa, bastava ad illuminare il mondo del vino a livello locale. Il nostro sommelier era però alla ricerca di altri lumi e si incamminò, ancora non del tutto conscio, verso quel viaggio di scoperta, quello vero, quello che ti fa avere nuovi occhi. 

2. IL PIACERE DELLA SCOPERTA

 Alberto Arlunno, la tredicesima generazione di produttori dell'Azienda Agricola Antichi Vigneti di Cantalupo è seduto davanti a me, ci dividono una schiera di calici e mezza dozzina di bottiglie aperte. 

Alberto ha quello sguardo di chi la sa lunga e in effetti è così sa anche il latino, io me lo sono quasi del tutto scordato, ma cerco di reagire interpretando le sue citazioni dai sui gesti in modo che non se ne accorga. In realtà non sa che sono ancora stordito dall'assaggio del suo Agamium, il Nebbiolo delle Colline Novaresi invecchiato in bottiglia come tutti i suoi vini per anni, perché come dice lui il vino va bevuto quando è pronto. 2009. Nebbiolo. Fruttato e sapido. Eh???

 Si fruttato e sapido o minerale che dir si voglia. Il Nebbiolo al massimo per me era floreale, con una certa freschezza data da terreni calcareo argillosi e ruvidità dai suoi tannini aggressivi. Così insegnavano le Langhe. Questo è fruttato sottobosco, lamponi, mirtilli, anche se si sentono ovviamente profumi terziari di confettura e speziatura leggera di invecchiamento e in bocca quel velluto che avevo avuto modo di apprezzare solo in Barolo invecchiati. Qui si parla di un semplice Nebbiolo. Quello che dovrebbe essere la corrispondenza di un semplice Langhe Nebbiolo da dove provengo io. Ed ecco il Ghemme DOCG L' Anno Primo 2007, poi il Collis Carellae un CRU il cui Nebbiolo proviene da una singola vigna 2007 poi ancora il Collis Braclaemae 2005 e 2007 per finire con il Signore di Bayard Ghemme di concezione più moderna 2006. L'Abate di Cluny rosso fatto fatto con un Nebbiolo stramaturo in pianta. Ma sempre queste note minerali, sempre anche in vini affinati per lungo tempo, quasi ci fosse nascosto nei sedimenti un vulcano attivo, rossi che ricordano nella mineralità e sapidità, il Taurasi o l'Aglianico del Vulture o il Nerello Mascalese dell'Etna... ma siamo... in Piemonte ??? Ed ecco lo sguardo di Alberto dipingersi di soddisfazione per aver incastrato il suo pollo, in questo caso un super pollo all'oscuro del Supervulcano della Valsesia o meglio ne ignorava l'esistenza in quel momento, che è un modo come un altro per dire che non ne ero a conoscenza. 

3. IL SUPERVULCANO DELLA VALSESIA

 Per avere straordinari sentori eleganti e minerali era chiaro che le uve di Nebbiolo con cui erano realizzati quei vini, pensò il sommelier langhetto, dovevano aver incontrato con le radici un materiale argilloso costituito però in prevalenza da pietre, rocce e frammenti piroclastici. I vini rivelavano, nonostante fossero invecchiati per lungo tempo, un'acidità non indifferente data proprio da questo mix di terreni ricchi in minerali. Leggendo qua e là, cercando di ricordarsi le basi della geologia classica da cui però questa storia si scostava in modo notevole, il nostro sommelier ormai incuriosito incontrava parole come graniti e basalti che non erano solo all'interno della stessa frase ma anche all'interno delle stesse rocce. 

 
Peridotite del Mantello
Micro Gabbro in blocco di Granito
Migmatite

Negli ultimi vent'anni in questa zona del Piemonte Settentrionale si è fatta un'incredibile scoperta e cioè che la porzione territoriale che si estende da Borgosesia alla Pianura Padana e da Curino a Borgomanero è in realtà una caldera di 13 km di diametro, testimone del collasso di un Supervulcano attivo 290 milioni di anni fa e che si trovava vicino al margine tra le due placche, quella Euroasiatica e quella Africana. La caldera non è ovviamente più visibile dal paesaggio, che era stato rimodellato dai fiumi e dai vari agenti atmosferici attraverso l'era neozoica, ma è testimoniata dalla presenza di rocce vulcaniche in tutto l'areale: la notizia scientifica sta nel fatto che fino agli '70 non si riusciva a dare una spiegazione a un caotico insieme di rocce di origine vulcanica che comprendeva corpi intrusivi all'interno di un contesto di formazioni derivanti da magmi effusivi. Ma vent’anni fa si è dimostrato che circa 290 milioni di anni fa la parte inferiore di questa crosta continentale veniva intrusa da magmi basaltici ad alta temperatura e il conseguente riscaldamento portava alla fusione delle rocce crostali profonde con la produzione di magmi granitici. È così che il sistema magmatico granitico, intrusivo, si è evoluto rapidamente fino alla formazione di un’area vulcanica la cui attività è culminata con lo sprofondamento di una caldera vulcanica di enormi dimensioni, che i geologi come il dr Silvano Sinigoi ordinario dell'Università di Trieste che si dedica a questa incredibile storia da anni, chiamano appunto “supervulcano”. Si è arrivato a dimostrare circa solo 15 anni fa, dal ritrovamento di megabrecce nel letto del Sesia prosciugato da un fortuito momento di siccità, l'avvenuto collasso della caldera. Le megabrecce della Valsesia sono costituite infatti da blocchi di roccia anche enormi immersi in una matrice costituita da materiale piroclastico. La super eruzione che ha portato alla formazione di queste rocce composite, ha sparato in aria ca 500 km quadrati di ceneri, lapilli e piroclasti il che ha fatto si che questo fosse davvero un vulcano di dimensioni gigantesche. L'unicità del Supervulcano è data soprattutto dal fatto che percorrendo la Valsesia è possibile osservare e studiare cosa poteva avvenire al di sotto del camino vulcanico 25 km in profondità nella crosta. Questi studi possono spiegare meglio come avviene in zone impossibili da monitorare confrontando altri casi di vulcani attivi con questo paleovulcano, l'evoluzione di una provincia vulcanica, considerando questo esempio come un modello naturale facendo ipotesi teoriche ma molto ben supportate. Ecco allora finalmente apparire la trama vulcanica, la prova del nome della degustazione da Antichi Vigneti di Cantalupo, finalmente apprendo il verbo e interpreto il leggero sorriso soddisfatto di Alberto Arlunno quando parlava di una risorsa nascosta del suo territorio. Prendono forma quindi i profumi di liquirizia, le sensazioni calde e vellutate e la straordinaria mineralità di questi vini. Il nostro amico Sommelier quindi soddisfatto per questo giro nel mondo dei ricordi e della ricerca scientifica mista alla passione per il vino ha ripreso la sua strada tempo fa. Ancora sta percorrendo la stessa strada e ha scoperto estremi come uno spumante siciliano di Marsala le cui uve sono coltivate letteralmente in riva al mare, un Langhe Riesling allevato a 900 mt slm su una vigna in ombra, vini caratterizzati da agricoltura eroica in Valtellina e Alto Adige, chissà cosa potrà riservargli il futuro... 

Matteo Capellaro 

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