mercoledì 18 maggio 2016

Monte Soratte: bunker ed asparagi.


Il Monte Soratte, imponente mole solitaria che, in un'alba di nebbia, si erge maestosa come l'isola di un mare tropicale, è stato fonte di ispirazione di numerosi miti e leggende. fin dalla antichità.
Proprio per la struttura calcarea, che caratterizza questo rilievo a nord di Roma, era nota la presenza di profonde voragini carsiche disseminate all'interno dei boschi, che ne ricoprivano con continuità i versanti molto acclivi.
I "mèri", forma dialettale che nel centro Italia identifica comunemente i pozzi carsici (si pensi al Pozzo del Merro, sui Monti Cornicolani), erano considerati la porta degli inferi.
Nacque così il mito degli "Hirpi Sorani", i sacerdoti che proprio sul Soratte veneravano Apollo in forma di lupo, forse confuso con l'antica divinità italica di Soranus. Sui resti dei templi dedicati al culto pagano, nacquero una serie di eremi che oggi possiamo ammirare salendo sulla cima, con una rete sentieristica di facile percorribilità.


La vista dalla sommità è impagabile e consente di spaziare, specie nelle giornate più limpide, a 360 gradi su un'ampia area del territorio a nord di Roma, che interessa la Sabina e l'Appennino centrale, i complessi vulcanici del margine tirrenico laziale ed una vasta porzione della piana del Tevere, fino all'Umbria.
La posizione dominate, che con i 690 metri s.l.m. incombe sulla sottostante piana tiberina, ancora una volta è legata alla struttura geologica ed alla evoluzione morfodinamica di questo settore dell'Italia centrale, di cui il Monte Soratte rappresenta un elemento caratterizzante.
La struttura calcarea è del Trias superiore e successivamente giurassica (la formazione denominata Calcare Massiccio) che ne costituisce l'ossatura, fino alle più recenti fomazioni della Scaglia cretacico-eocenica.
Si tratta di una sedimentazione che, inizialmente, interessava un mare poco profondo e che avveniva su una sorta di rilievo sottomarino, quindi leggermente ridotta di spessore rispetto alle aree dei bacini circostanti.

Il Monte Soratte (toni di blu) da Carta Geologica d'Italia scala 1:100.000 - Foglio 144 Palombara Sabina
(da ISPRA http://193.206.192.231/carta_geologica_italia/tavoletta.php?foglio=144)
Una delle interpretazioni più note della antica morfologia dell'area, considera la presenza di un'unica dorsale ad orientamento NW-SE che comprendeva sia il Soratte che i Monti Cornicolani: una sorta di catena montuosa posta in direzione appenninica. Successivamente le forze distensive, che disarticolarono questa catena, determinarono un sostanziale sprofondamento della parte mediana, lasciando isolati i rilievi agli estremi, proprio come isole invase dal mare pliocenico, nel quale iniziò una sedimentazione di terreni sabbiosi ed argillosi di bacino aperto. La ricostruzione è tratta dal lavoro di Faccenna, Funiciello e Marra "Inquadramento geologico strutturale dell'area romana" in Mem. Descr. Carta Geol. d'Italia, vol. 50.

Campagna romana nel mare del Pliocene, con le isole del M.Soratte e dei M.Cornicolani (op.cit.)  
Una volta emersa, la piana venne successivamente coperta dai prodotti vulcanici quaternari che livellarono le forme su cui oggi scorre, con andamento sinuoso e meandriforme, il Fiume Tevere prima del suo ingresso nella Capitale.
Visitare il Monte Soratte è sempre una bellissima esperienza, per il patrimonio geobotanico che arricchisce il sito, come pure per la presenza del piccolo centro abitato di Sant'Oreste, che conserva, nel suo borgo antico, scorci e testimonianze storiche di un illustre passato. Il Monte Soratte è anche una Riserva Naturale, istituita con Legge Regionale Lazio n.29 del 06.10.1997, gestita dalla Città Metropolitana di Roma Capitale.
Tuttavia, una delle maggiori curiosità è certamente rappresentata dalla possibilità di scendere nel cuore della montagna, esplorando quella che rappresenta una delle più imponenti opere di ingegneria militare del secolo scorso: i Bunker del Soratte.


I Bunker nacquero nel 1937 per volere di Mussolini per ospitare una fabbrica di armi, localizzata per motivi strategici in questo luogo segreto e reso inaccessibile, alle porte della Capitale. Lo scavo fu particolarmente impegnativo, per le caratteristiche tenaci degli ammassi rocciosi interessati. Dopo alcune vicissitudini, dovute al periodo bellico, a partire dal settembre 1942, le gallerie furono la sede tedesca del Comando Supremo del Sud Europa, guidato dal Feldmaresciallo Kesserling, che vi rimase dieci mesi, fino al pesante bombardamento alleato avvenuto il 12 maggio 1944.
Un evento particolarmente significativo per le sorti del conflitto che risparmiò, quasi miracolosamente, il centro abitato e che, proprio nei giorni della nostra visita, è stato rievocato in una suggestiva rappresentazione storica.

Più recentemente, negli anni '60, i Bunker divennero il luogo prescelto per la costruzione del rifugio antiatomico che avrebbe dovuto ospitare il governo italiano in caso di guerra termonucleare; i lavori, tuttavia, vennero bruscamente interrotti nel 1972, lasciando l'installazione all'abbandono. Oggi la fitta rete di gallerie che attraversa per più di 4 km i calcari di quasi 200 milioni di anni, è ampiamente esplorabile, grazie alla meritoria opera di riqualificazione dell'Associazione che ne garantisce la salvaguardia e la visita in giornate prestabilite.


Salire sulla cima è una esperienza che si può percorrere in poche ore, anche in modo agevole, lasciando alle spalle il paese di Sant'Oreste e procedendo all'interno di una fitta vegetazione, con percorsi attrezzati anche con aree di sosta, fornite di fontanelle di acqua potabile e comodi tavoli.
Lungo il percorso sono continue le testimonianze del processo carsico, con forme superficiali sia macroscopiche (doline ed inghiottitoi), sia minori (solchi e campi carreggiati), legate entrambe al processo di dissoluzione delle rocce da parte delle acque meteoriche, rese aggressive dalla presenza di anidride carbonica disciolta in esse.


La roccia madre calcarea favorisce la formazione di suoli ad orizzonti non troppo differenziati, a volte con presenza di rocce affioranti, che per le loro forme favoriscono la presenza di tasche di alterazione di colore bruno e rossastro, ricche di materia organica. La vegetazione, favorita dalla presenza di zone ombreggiate e senza ristagno di acqua, che si infiltra rapidamente nelle rocce fratturate, è particolarmente ricca di specie arbustive, caratteristiche di questa fascia climatica, che si trovano continuità nella lunga passeggiata verso la cima: tra di esse, meritoria di menzione, è senza dubbio la notevole presenza dell'Asparago selvatico (Asparagus acutifolius L.).

Asparagus acutifolius L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)

Gli asparagi selvatici sono presenti in quasi tutte le regioni italiane soprattutto in boschi e terreni incolti e possono arrivare oltre i mille metri di altitudine. Preferiscono terreni calacrei o argilloso-calcarei e per questo motivo trovano la loro dimora perfetta nel sottobosco del Monte Soratte dove regnano lecci, aceri, carpini, con la fillirea, e il terebinto. In cucina si utilizzano i "turioni" cioè i polloni della pianta che fuoriescono dalla base.

(da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
L’Asparago era già consumato dagli Egizi e dagli antichi Romani che già nel 200 a.C. avevano dei manuali per la coltivazione. Viene citato da diversi autori del passato tra cui Teofrasto, Catone, Plinio che ne descrissero minuziosamente il metodo di coltivazione e di preparazione e Apicio da cui sono state tramandate alcune ricette nel "De res Coquinaria". Dal XV secolo è iniziata la coltivazione in Francia, per poi, nel XVI secolo arriva al massimo della popolarità anche in Inghilterra; solo successivamente giunge anche in Nord America.
In alcune regioni italiane la raccolta è regolamentata da leggi regionali che stabiliscono periodi di raccolta e il quantitativo massimo che di solito si aggira sul chilo a persona. In alcuni casi è richiesto un tesserino analogo a quello della raccolta funghi. Prima di raccogliere questi prodotti della natura è bene informarsi.
Altra raccomandazione e di non confonderli con i germogli del luppolo selvatico

Humus lupulus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
o con quelli di pungitopo

Ruscus aculeatus L. (da Sapori di Flora, edito dal Ministero dell'Ambiente e  della  Tutela del Territorio e del Mare)
(entrambi chiamati spesso anche "asparagi selvatici"), anche questi ultimi sono commestibili e vengono raccolti a primavera per farne risotti, frittate, minestre e paste ripiene.

Il modo migliore per gustarli è comunque quello più semplice che mantenga il più possibile sapori e profumi della pianta. Quindi sono banditi sughi troppo elaborati o l'utilizzo della panna. Perfetto l'abbinamento con un ottimo olio extravergine di oliva, meglio se locale, aglio e peperoncino che ne esaltano la naturale bontà per condire una pasta acqua e farina prodotta con un grano duro antico italiano.

Tagliatelle di grano duro Timilìa e asparagi del monte Soratte

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