Scriviamolo subito, senza
arrivare in fondo al post: Lecce è un capolavoro.
La sua unicità si percepisce in
ogni angolo, ma trova la sua consacrazione nella centralità monumentale di
Piazza Sant’Oronzo: un palcoscenico a cielo aperto, dove è possibile gustare
una preziosa pausa praticamente sugli spalti di un Anfiteatro romano. A memoria
non esiste scenario di maggiore fascino scenografico.
Non solo la piazza principale: a
connotare le strade, i rivestimenti e i palazzi di quella che è una delle culle
indiscusse del Barocco italiano è senza dubbio un materiale, la cui origine
geologica si perde nel Miocene.
La “pietra leccese” la trovi praticamente ovunque.
La “pietra leccese” la trovi praticamente ovunque.
Sono le caratteristiche fisiche e
meccaniche di questa calcarenite organogena e fortemente fossilifera, foggiata dall’abilità
non di artisti rinomati, ma spesso di umili scalpellini, ad aver permesso la
creazione di vere e proprie opere d’arte, che arricchiscono la città salentina.
Sulla estrazione delle “pietre” è
cresciuta una buona parte della economia locale; intorno a questo materiale un
caleidoscopio di manifatture straordinarie, di aneddoti, di versatili
classificazioni e nomenclature bizzarre. Si conoscono, per esempio, la
varietà Leccisu (l’originale), Piromafo, Cucuzzara (cioè
tosta, dura), Bianca, Dolce, Saponara e Gagginara, la
Nera, che spesso si trova sul fondo dei giacimenti, più rara e pregiata.
Le aree di estrazione, oltre
Lecce, sono Maglie e la zona di Gallipoli, altri territori in cui, non a caso,
il Barocco è fortemente rappresentato. La pietra, per la sua natura, assume una
spropositata lavorabilità, consentendo la creazione di quelle forme circolari
proprie dello stile architettonico, che si svincola dal concetto della semplice
“squadratura“ in blocchi, tipica degli altri materiali da costruzione.
Tra le tecniche più antiche che
permettevano alla pietra leccese, fortemente porosa e ricca di umidità, di
conservare e migliorare le proprie caratteristiche di durabilità, c’era quella
di saturare i conci appena estratti nel latte: la roccia veniva spugnata o
immersa completamente nel liquido in modo da far penetrare il lattosio, che
avrebbe creato una sorta di strato impermeabile.
Il contraltare della lavorabilità
di questo materiale è comunque la sua estrema delicatezza alla aggressione da
parte degli agenti esterni: le superfici a vista risultano spesso cariate e
comunque colpite da un inesorabile deterioramento, tanto che sono in esame
alcune tecniche innovative per la sua conservazione. Una tra queste è stata
recentemente messa a punto da tre giovani ricercatrici in ingegneria dei materiali
che hanno proposto un agente protettivo ibrido organico-inorganico, nano
strutturato e fotopolimerizzabile da applicare sui manufatti.
Spesso confusa con la pietra
leccese è il Carparo, calcarenite gialla, tencace, di difficile lavorabilità e
per questo nettamente diversa. Detta localmente “tufo”, termine improprio in
quanto tipico delle litologie di genesi vulcanica, come spesso abbiamo
accennato in questo blog. La sua estrema porosità, condizionata dalla presenza
della calcite che ne lega gli elementi, è evidenziata dalla “grana” ed il suo
fascino è accentuato dal tipico effetto “anticato”, dovuto alla presenza di
infiorescenze e licheni che la ricoprono, specie in condizioni di elevata
umidità ed esposizione ai venti ed alla salsedine marina.
La settecentesca chiesa madre di
Alessano (LE), riportata nella foto, rappresenta uno degli esempi
architettonici più noti.
Il carparo con caratteristiche più pregiate viene estratto
principalmente nelle cave Mater Gratiae, ubicate tra Alezio e Gallipoli.
Chiesa Madre di Alessano - Fonte Wikipedia
Di Lupiae - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12737204
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Ma cosa vale un viaggio a Lecce,
anche solo di un fine settimana, oltre il godere delle sue meraviglie
architettoniche? Sicuramente la simpatia dei suoi abitanti, l’offerta elevata
nell’accoglienza turistica, ma, non ultimo, il fatto di poter essere eletta
come una delle pietre miliari dello street food nostrano tradizionale e di
qualità.
Lecce vanta una innumerevole serie
di locali, bar, forni o semplici banchi all’aperto, in cui è possibile gustare
“ognibendiddio” di cibo da strada. Guidati da una delle pubblicazioni di
riferimento del settore, di cui abbiamo parlato in un precedente post e dal giusto spirito geologico, ne abbiamo
assaggiate di tutti i colori.
Dalla Piadina Salentina, con olio
extravergine e non strutto, alla mitica Puccia, tipico prodotto da forno farcito,
senza dimenticare un caffe con il Pasticciotto, dolce
fatto di contese e dispute sulla sua patria di nascita, che sembrerebbe essere Galatina,
qualche chilometro più a sud.
Come non bussare poi alle
fornitissime pasticcerie che sfornano la Cotognata, dolce di tradizione
contadina legato alla lavorazione delle mele cotogne, senza prima non aver
assaporato il Rustico Salentino, buono per tutte le stagioni con il suo ripieno
di besciamella e pomodoro. Se resta ancora un po’ di spazio, sempre prima del
dolce, un Panino coi pezzetti non può mancare: i pezzetti sono quelli di carne
di cavallo e la preparazione, tradizionalmente realizzata con la “pignata” in
terracotta, è completata da olio di oliva, carota,
sedano e cipolla.
La
splendida Lecce, per mille motivi legati anche alla Geologia ed alla Cucina, non
può mancare ad una visita appassionata e gastronomicamente edificante!
Bellissimo post. In effetti Lecce merita la sua fama di città accogliente e, coccola chi la visita offrendo ciò che il viaggiatore desidera. E stato un piacere leggere, non mi sono persa una parola. Buona giornata. Ciao Stefania
RispondiEliminaTra monti, mari e gravine
Una bellissima città, raggiungibile efficacemente anche in treno, per una sosta all'insegna dell'arte e della buona tavola. Con enormi sputni "geologici" da scoprire.
EliminaGrazie Stefania !