mercoledì 15 marzo 2017

Lecce, PIETRA miliare dello Street Food



Scriviamolo subito, senza arrivare in fondo al post: Lecce è un capolavoro.
La sua unicità si percepisce in ogni angolo, ma trova la sua consacrazione nella centralità monumentale di Piazza Sant’Oronzo: un palcoscenico a cielo aperto, dove è possibile gustare una preziosa pausa praticamente sugli spalti di un Anfiteatro romano. A memoria non esiste scenario di maggiore fascino scenografico.
Non solo la piazza principale: a connotare le strade, i rivestimenti e i palazzi di quella che è una delle culle indiscusse del Barocco italiano è senza dubbio un materiale, la cui origine geologica si perde nel Miocene.
La “pietra leccese” la trovi praticamente ovunque.
Sono le caratteristiche fisiche e meccaniche di questa calcarenite organogena e fortemente fossilifera, foggiata dall’abilità non di artisti rinomati, ma spesso di umili scalpellini, ad aver permesso la creazione di vere e proprie opere d’arte, che arricchiscono la città salentina.


Sulla estrazione delle “pietre” è cresciuta una buona parte della economia locale; intorno a questo materiale un caleidoscopio di manifatture straordinarie, di aneddoti, di versatili classificazioni e nomenclature bizzarre. Si conoscono, per esempio, la varietà Leccisu (l’originale), Piromafo, Cucuzzara (cioè tosta, dura), Bianca, Dolce, Saponara e Gagginara, la Nera, che spesso si trova sul fondo dei giacimenti, più rara e pregiata.
Le aree di estrazione, oltre Lecce, sono Maglie e la zona di Gallipoli, altri territori in cui, non a caso, il Barocco è fortemente rappresentato. La pietra, per la sua natura, assume una spropositata lavorabilità, consentendo la creazione di quelle forme circolari proprie dello stile architettonico, che si svincola dal concetto della semplice “squadratura“ in blocchi, tipica degli altri materiali da costruzione.


Tra le tecniche più antiche che permettevano alla pietra leccese, fortemente porosa e ricca di umidità, di conservare e migliorare le proprie caratteristiche di durabilità, c’era quella di saturare i conci appena estratti nel latte: la roccia veniva spugnata o immersa completamente nel liquido in modo da far penetrare il lattosio, che avrebbe creato una sorta di strato impermeabile.
Il contraltare della lavorabilità di questo materiale è comunque la sua estrema delicatezza alla aggressione da parte degli agenti esterni: le superfici a vista risultano spesso cariate e comunque colpite da un inesorabile deterioramento, tanto che sono in esame alcune tecniche innovative per la sua conservazione. Una tra queste è stata recentemente messa a punto da tre giovani ricercatrici in ingegneria dei materiali che hanno proposto un agente protettivo ibrido organico-inorganico, nano strutturato e fotopolimerizzabile da applicare sui manufatti.


Spesso confusa con la pietra leccese è il Carparo, calcarenite gialla, tencace, di difficile lavorabilità e per questo nettamente diversa. Detta localmente “tufo”, termine improprio in quanto tipico delle litologie di genesi vulcanica, come spesso abbiamo accennato in questo blog. La sua estrema porosità, condizionata dalla presenza della calcite che ne lega gli elementi, è evidenziata dalla “grana” ed il suo fascino è accentuato dal tipico effetto “anticato”, dovuto alla presenza di infiorescenze e licheni che la ricoprono, specie in condizioni di elevata umidità ed esposizione ai venti ed alla salsedine marina.
La settecentesca chiesa madre di Alessano (LE), riportata nella foto, rappresenta uno degli esempi architettonici più noti.

Chiesa Madre di Alessano - Fonte Wikipedia
Di Lupiae - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=12737204
Il carparo con caratteristiche più pregiate viene estratto principalmente nelle cave Mater Gratiae, ubicate tra Alezio e Gallipoli.
Ma cosa vale un viaggio a Lecce, anche solo di un fine settimana, oltre il godere delle sue meraviglie architettoniche? Sicuramente la simpatia dei suoi abitanti, l’offerta elevata nell’accoglienza turistica, ma, non ultimo, il fatto di poter essere eletta come una delle pietre miliari dello street food nostrano tradizionale e di qualità.
Lecce vanta una innumerevole serie di locali, bar, forni o semplici banchi all’aperto, in cui è possibile gustare “ognibendiddio” di cibo da strada. Guidati da una delle pubblicazioni di riferimento del settore, di cui abbiamo parlato in un precedente post e dal giusto spirito geologico, ne abbiamo assaggiate di tutti i colori.


Dalla Piadina Salentina, con olio extravergine e non strutto, alla mitica Puccia, tipico prodotto da forno farcito,  senza dimenticare un caffe con il Pasticciotto, dolce fatto di contese e dispute sulla sua patria di nascita, che sembrerebbe essere Galatina, qualche chilometro più a sud.


Come non bussare poi alle fornitissime pasticcerie che sfornano la Cotognata, dolce di tradizione contadina legato alla lavorazione delle mele cotogne, senza prima non aver assaporato il Rustico Salentino, buono per tutte le stagioni con il suo ripieno di besciamella e pomodoro. Se resta ancora un po’ di spazio, sempre prima del dolce, un Panino coi pezzetti non può mancare: i pezzetti sono quelli di carne di cavallo e la preparazione, tradizionalmente realizzata con la “pignata” in terracotta, è completata da olio di oliva, carota, sedano e cipolla.



La splendida Lecce, per mille motivi legati anche alla Geologia ed alla Cucina, non può mancare ad una visita appassionata e gastronomicamente edificante!


2 commenti:

  1. Bellissimo post. In effetti Lecce merita la sua fama di città accogliente e, coccola chi la visita offrendo ciò che il viaggiatore desidera. E stato un piacere leggere, non mi sono persa una parola. Buona giornata. Ciao Stefania

    Tra monti, mari e gravine

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    1. Una bellissima città, raggiungibile efficacemente anche in treno, per una sosta all'insegna dell'arte e della buona tavola. Con enormi sputni "geologici" da scoprire.
      Grazie Stefania !

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